
Oh amata isola di Upolu, sogno lontano nel tempo e nello spazio di lagune turchesi, di vita avventurosa, di vita all’insegna del raccontare … del narrare… del ricordare con nostalgia il passato … passato che mai sarà restituito ai nostri voraci sensi e che pure mai perirà, poiché le belle pagine dei romanzi e delle poesie lo eternano. Cosa resta di te? Cosa resta dello sguardo di un uomo che ha attraversato il Mare in un periglioso viaggio per raggiungerti, uomo mortale che ha deciso di riposare su una tua fresca e verdeggiante altura per poter scrutare l’Oceano Pacifico per sempre? Niente. Di tutto ciò che tu rappresenti per noi, o cara Upolu, in questi tempi squallidi e grotteschi non resta assolutamente niente. Purtroppo.
Chi conosce, infatti, il perché il toponimo di quest’isola sia legato indissolubilmente alla Storia della Letteratura? Se noi Narratori provassimo a porre questa banale domanda (banale per chi ogni tanto apre un libro, naturalmente) a qualche giovinastro d’oggi che, con in mano uno spinello e nell’altra lo Smartphone con cui “chatta” in una demenziale neolingua composta da una risibile accozzaglia di parole storpiate, bamblana fuori da uno di quegli edifici obbrobriosi e pericolanti che bisogna possedere un bel pelo sullo stomaco per definirli “scuola”, con ogni probabilità costui non capirebbe neppure cosa gli abbiamo chiesto, poiché bestialmente privo delle categorie del pensiero umano chiamate “Geografia” e “Letteratura”. E a voi fedeli lettori dell’epopea dei Pirati dei Milan – se per caso dubitaste del nostro assoluto pessimismo antropologico che ci anima – non resterebbe che eseguire la suddetta triste prova, per scoprire con sgomento che, ahinoi!, ciò che sosteniamo altro non è che la cristallina realtà, che appartiene a quest’era di umane “magnifiche sorti progressive”.
Al massimo, qualcun altro, interrogato su qual è la prima cosa che gli salta in mente quando si parla di Mari del Sud o di Caraibi o di Oceano Indiano, risponderà che il suo sogno è quello pucciare le mollicce chiappe in qualche insulso resort di lusso alle Maldive o in Polinesia, servito e riverito dal personale dell’Hotel, in compagnia di una puttan… ehm ehm, di una “influencer” volevamo dire.
Avendo l’intenzione noi Narratori di rifuggire da tutto ciò con la massima risolutezza, l’isola di Upolu – sulla quale abbiamo ambientato uno dei nostri racconti più efferat… ehm, dove abbiamo ambientato il racconto intitolato LA RIBELLIONE – ci è assai cara, perchè vi giace sepolto il nostro amico scrittore de L’Isola del Tesoro Robert Luis Stevenson.
Suo è questo famoso libro, che ha delineato nell’immaginario collettivo la figura del pirata per antonomasia, cioè quel pirata con la benda nera calata su un occhio, il volto barbuto e segnato da cicatrici, la gamba di legno e il pappagallo sgargiante appollaiato sulla spalla. Immagine questa di pirata per la quale non è necessario aver letto L’Isola del Tesoro per figurarsela e questo spiega la potenza evocativa di quei pochi testi il qual contenuto si sedimenta nel cosiddetto inconscio collettivo.
Ma noi qui non vogliamo disquisire di Stevenson – che fu, come ricordato nel racconto LA RIBELLIONE, un grande e stimato amico del nostro buon Nonnino in persona e da quest’ultimo addirittura consigliato nella stesura del romanzo che lo ha reso immortale – e/o della sua importante opera letteraria. Suo infatti è anche il racconto Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde (Strange Case of Dr Jekyll and Mr Hyde, del 1886), che, più che un racconto gotico, come è categorizzato dall’ortodossa critica letteraria, noi Narratori saremmo propensi a definirlo un racconto precursore del genere Horror-Fantascientifico. In questo senso Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde è da considerarsi una creazione letteraria di notevole genialità, in relazione al tempo storico in cui viveva Stevenson.
Dicevamo, però, che quel che interessa a noi Narratori non è dissertare sul valore delle opere di Stevenson, ma concentrarci su un anelito mai estinto che pervadeva il suo spirito di uomo e che, in parallelo, pervade il nostro, che viviamo nostro malgrado in questi tempi confusionari per non dire tarati.
Questo anelito per Stevenson significava desiderar di evadere da un destino esistenziale precostituito. Egli era nato in seno a una famiglia di ingegneri progettisti e costruttori di quelle affascinanti opere architettoniche marittime, che sono note con il nome di fari. Per questo Stevenson avrebbe dovuto, come era prassi in epoca vittoriana, seguir le orme dell’impresa di famiglia e divenir lui stesso un ingegnere edile. Ma a questo destino egli cercò di sottrarsi, lasciando gli agi familiari del suo stato sociale alto-borghese per viaggiare e per dedicarsi alla sua vera passione: scrivere. Lui ci riuscì, poiché alla fine divenne il grande scrittore che conosciamo e non un progettista di fari.
Noi Narratori, come lui, ci stiamo provando a sottrarci al nostro destino, narrando gli spaventosi eccidi di … ehm, le mirabolanti avventure di corsa del Nonno, de il Papà e de il buon Zio, rinverdendo la letteratura di genere piratesco, immaginando viaggi fantastici in luoghi che, forse, non riusciremo a visitare mai di persona, ma che, grazie all’immaginazione, è come se li avessimo visitati.
Un forte sentimento tuttavia ci lega, in ultima istanza, a Robert Luis Stevenson. Ed è questo sentimento che, al di là dei monumentali bla bla bla che son stati fatti e si fanno su questo scrittore, ha cementato la nostra sincera amicizia con lui: l’amore incondizionato per il Mare. Perché come dice un proverbio francese: “Il mare è una via per l’infinito”.
Noi Narratori, da ragazzini, quando leggevamo Nei Mari del Sud – seppure fossimo nati a Magenta e a Novara e non nella magica Edimburgo e non fossimo figli di progettisti di fari – immaginavamo che il nostro letto fosse il ponte di un vascello sferzato dai marosi del Capo Horn e fantasticavamo di navigare verso isole remote come Upolu, per vivere appieno quell’avventura straordinaria che è la vita. Non potevamo certo sapere che Stevenson, un secolo prima, anch’egli giovane e, forse, più agevolato di noi per nascita nell’alimentarsi di tali fantasie, scrisse un giorno nel suo diario «Il mio letto è come una barca …».
https://it.wikipedia.org/wiki/Robert_Louis_Stevenson
https://it.wikipedia.org/wiki/Upolu
Andrea Cominelli e Diego Trigili