La Filosofia dei Pirati Dei Milan

Non ci sono chissà che tomi abbandonati in qualche polverosa biblioteca, che giacciono in attesa di essere scoperti o riscoperti dagli storici del pensiero filosofico, ma solo un’accorata lezione orale che nostro nonno  ci impartì tanti anni fa, in una profonda spelonca, nelle viscere del Promontorio di Capo Caccia, quando fummo accolti nella sua esclusiva confraternita di uomini di Mare.

i pirati dei milan

In questa somma lezione, dunque – trasposta poi nel nostro romanzo breve intitolato in maniera assai pertinente IL PATTO – risiede tutta la filosofia che anima i Pirati della Famiglia dei Milan.

Tale lezione informa la visione filosofica del mondo che noi Narratori abbracciamo fin da quando, poco più che ragazzini, ci conoscemmo tra i banchi del Liceo Classico Carlo Alberto di Novara, suggellando la nostra eterna amicizia.

Ebbene, noi vogliamo ivi riportare la sostanza di questa breve quanto pregna philosophica lectio al fine di porla in comoda evidenza, di modo che possa esser di facile reperimento per i nostri fedeli lettori appassionati della saga piratesca dei Milan, i quali mai dovrebbero dimenticarla.

Suggeriamo infine di leggere attentamente ciò che ha da dire nostro nonno a tutti coloro i quali hanno a cuore il libero pensiero, se non vogliono finire morti ammazzat… ehm, se considerano importante vivere da uomini e non come pecore in branco.

E allora ascoltiamolo bene nostro Nonno! Perché dopo, nulla sarà più come prima.

«Io sono un principe libero e ho altrettanta autorità di far guerra al mondo intero quanto colui che ha cento navi in mare! Io sono un principe libero e lo rimarrò sino all’ultimo dei miei giorni. E se dovrò morire…morirò da uomo libero!»

Clicca sul + ed espandi il capitolo “Tesi e Antitesi” oppure passa direttamente a leggere la “Sintesi” che abbiamo preparato per te.

Siamo in guerra. Siamo in guerra per la nostra stessa sopravvivenza di esseri umani. La sopravvivenza del nostro mondo, delle nostre tradizioni, del mito della marineria a vela, non sono mai state sull’orlo di un così profondo baratro come in questi tempi balordi! E con chi siamo in guerra? Con chi ci vuole asserviti, chi ci vuole sudditi, chi ci vuole gregge impaurito, rassegnato e belante!

Siamo in guerra contro un modello di sviluppo atroce, che sta distruggendo il nostro pianeta, saccheggiando senza pietà tutte le sue risorse. Questo modello definito “occidentalizzazione” o “americanizzazione” del mondo, che qualcuno ha anche definito “macdonaldizzazione”, è il modello esportato in ogni angolo del globo, con merci insulse, col consumismo come unico oracolo a cui genuflettersi, col materialismo come credo ideologico; ma anche con la violenza se necessario, con le sanzioni economiche, gli embarghi, le guerre umanitarie, l’esportazione della democrazia a suon di bombardamenti verso chi proprio non sa che farsene della nostra sedicente “democrazia” (semmai le oligarchie di oggi possano ancora esser definite “democrazie”). Questo schema ideologico imposto ormai ovunque per omologare a sé tutto il globo terracqueo, distruggendo e disgregando culture, popolazioni, identità, tradizioni, è quanto di più osceno sia stato partorito da menti malvage ed evidentemente perverse! È questo il Leviatano contro cui siamo in guerra.

Siamo in guerra contro questa dittatura dell’economia e dei mercati, della finanza e della tecnologia che non è neppure più mera tecnologia, ma brutale tecnocrazia. Siamo in guerra contro il giogo del neoliberismo selvaggio, chiamato “globalizzazione” dai suoi stregoni e adepti, ammannito come una cicuta o come una nuova religione monoteistica che ha un’unica sostanza: l’arricchimento sfrenato di pochi e la schiavitù di molti! Una dittatura subdola, immorale e spietata, che ha piegato, asservito e snaturato l’uomo, anziché servirlo e giovargli nella crescita spirituale, che dovrebbe esser il fine ultimo del suo passaggio su questa terra. Siamo in guerra contro questa “modernità”, questo “progresso”, che ha trasformato ogni cosa in merce: gli oggetti, le persone, i diritti, i valori. Che ha svuotato i mari dei suoi pesci e delle sue creature, riempiendoli di plastica, idrocarburi e bolidi a motore che hanno segnato il declino della navigazione a vela e della sua coraggiosa gente che conosceva il valore del sacrificio. Gente che viveva il mare e per il mare, rispettandolo e non saccheggiandolo senza pietà e trattandolo come una discarica! Siamo in guerra contro il pensiero unico, che non tollera il dissenso, anzi, lo soffoca sul nascere. Siamo in guerra contro questo nuovo Grande Fratello, assai peggiore di quello evocato da George Orwell, nel suo incommensurabile e distopico capolavoro, 1984. Oggi la realtà ha superato di gran lunga quel che la sua fervida fantasia aveva partorito nell’ormai lontano 1949. E forse, a ben vedere, l’opera a cui dovremmo far riferimento per capire in quale direzione stiamo andando sarebbe quella di Aldous Huxley, che nel suo Mondo Nuovo profetizzava una società da incubo molto più terrificante di quella orwelliana. Ma non c’è bisogno di evocare il romanzo di Huxley per immaginare una dittatura tecnologica in cui gli individui sono progettati in vitro per svolgere un’unica mansione per tutta la vita. Siamo già tutti controllati, filmati, radiografati, scansionati, fotografati migliaia di volte al giorno. Viviamo, oramai, in un mondo allucinante e allucinatorio, in cui non si sa più neppure bene cosa sia reale e cosa no. Contro tutto ciò noi oggi siamo in guerra! Siamo in guerra contro questa piaga dell’ipocrita “politicamente corretto”, più intollerante degli inquisitori, il cui intento nemmeno troppo dissimulato, in nome di valori quali uguaglianza, fratellanza e libertà, la “loro” libertà ovviamente, che altro non è che uno smielato ecumenismo omologante, sarebbe quello di riscrivere la storia dell’umanità cancellando il nostro passato, d’imporre una nuova censura per tutto ciò che sia afferente alla memoria, all’individuo. Un politicamente corretto, ma eticamente corrotto, che ci vorrebbe imporre come dovremmo parlare, come dovremmo comportarci, come dovremmo pensare, come dovremmo essere! E allora risuoni perentorio il nostro NO! NO a questa globalizzazione selvaggia! NO alla mercificazione delle persone e dei beni! No all’omologazione sistematica di uomini, diritti e doveri! NO alle oligarchie finanziarie, economiche, politiche, che stanno strangolando il mondo in nome del profitto, dislocando la produzione nei Paesi del terzo mondo per incrementare i guadagni, ridurre i costi e aggirare le norme dello Stato sociale, producendo solo diseguaglianza, sfruttamento, miseria e infelicità!

«SÌ invece alla disobbedienza e SÌ all’uso della forza laddove ve ne sia necessità: se gli Stati sovrani sono stati delegittimati dall’alto e dall’esterno (vedi alle voci Unione Europea, Fondo Monetario Internazionale, Federal Reserve), allora è diritto di ognuno di noi non riconoscersi più in alcuno Stato e ribellarsi alle sue leggi inique con tutti i mezzi. SÌ al recupero delle antiche tradizioni, specie quelle iniziatico-misteriche, che hanno forgiato uomini e culture fin dall’alba della civiltà. Svegliatevi, gente! Rialzate la testa! Aprite gli occhi. Ribellatevi!Han gettato polvere negli occhi delle masse: omofobia, sessismo, fascismo, comunismo, ora pure populismo… Ma cos’è il populismo?! È la neolingua dei mercati che, con categorie terminologiche decontestualizzanti, tenta d’impedire il pensiero critico, l’ultimo regno inaccessibile ancora rimasto inespugnato!Guardate la politica. Oggi la contrapposizione destra-sinistra non ha più senso: oggi l’unica vera contrapposizione è quella fra alto e basso, fra élite e popolo.Al potere piace dividere le masse, creare conflitti. Il potere sguazza nella zizzania, facendosi forza dell’inconsapevolezza degli stolti.Come eterosessuali contro omosessuali, vegani contro onnivori, neri contro bianchi… Ogni giorno se ne aggiunge una di queste contrapposizioni. Tutti conflitti orizzontali d’infimo livello, creati a regola d’arte, per distogliere l’attenzione dall’unico vero conflitto realmente importante: l’alto contro il basso. Divide et impera, ricordate? Nulla è cambiato. La Storia sempre si ripete, identica a sé stessa… L’Eterno Ritorno dell’Eguale, direbbe il nostro caro Nietzsche.

E allora, quale modello contrapporre allo sfacelo che abbiamo davanti agli occhi, a questo individualismo sfrenato, che ha spianato la strada dapprima al capitalismo – mediante gli Stati Uniti d’America e il loro braccio armato, la NATO – poi al consumismo e al materialismo moderni, che hanno trasformato le persone pensanti e raziocinanti in consumatori decerebrati, impauriti, belanti come pecore in un gregge? Cosa si deve contrapporre loro? Una realtà diversa. Perché la realtà è un continuo divenire. Eraclito lo ha insegnato. Quella oggi esistente è solo UNA possibile realtà, anche se vogliono spacciarcela come unica e immodificabile. Invece essa può e deve essere sempre modificata. Dobbiamo solo rendercene conto e agire. Noi dobbiamo lavorare sul possibile, sul realizzabile, per modificare lo status quo imperante. In due parole: dobbiamo agire! Cosa contrapporre? Quale modello alternativo perseguire? Un nuovo comunitarismo. Sissignori, comunitarismo. E qui dobbiamo scomodare i grandi idealisti: Aristotele, Hegel, Marx, Gramsci, Pasolini, Costanzo Preve. Comunitarismo, sissignori! Perché come scrive lo stagirita, l’uomo è innanzitutto politikòn zoòn, lògon èkon. Questo è scritto nei nostri geni. E allora dobbiamo proporre un modello alternativo. Un modello che riscopra l’Uomo e lo rimetta al centro dell’universo, relegando economia e tecnologia al ruolo che loro compete, un ruolo subordinato. Una società di uomini liberi e uguali, fieri, indipendenti, consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, che non siano sudditi ma cittadini, che abbiano chiaro nella testa qual è il loro ruolo nella specie che rappresentano. Ma esiste oggi, al mondo, una realtà esterna al capitalismo tecnologico? Forse in qualche atollo corallino o nelle isole Andamane, coi loro bellicosi e misantropi nativi i quali giustamente volgono in fuga a colpi di frecce e lance gli stronzi che pretendono di portargli la nostra (in)civilità, le nostre religioni, il nostro becero consumismo, le nostre volgari paccottiglie, in una parola la nostra modernità… Per vedere la formazione d’un modello antitetico al capitalismo e alla globalizzazione siamo ormai costretti a sperare nella forza eruttiva, creatrice e distruttrice d’un Krakatoa o un Kilauea?! Chi mai potrebbe proporre un vero modello alternativo? Non possiamo più sperare nella politica, nella legge, nel diritto. Prendiamo l’Unione Europea: unione delle classi dominanti, economico-finanziarie, contro le classi lavoratrici del Vecchio Continente. Dal 1989, dopo il disfacimento dell’URSS e la fine dell’epoca della guerra fredda e del sistema bipolare di pesi e contrappesi che ne era conseguito, le élites economico-finanziarie dominanti, per mezzo del capitale e del loro braccio armato (gli Stati Uniti d’America, i loro “alleati” – null’altro che succubi lacchè – e la NATO, i castigamatti dei suddetti miliardari), hanno preso d’assalto gli Stati nazionali per iniziarne la delegittimazione e quel lento processo di smantellamento sociale e antropologico che stiamo vivendo e che negli ultimi tempi è stato accelerato. Oggi, a livello mondiale, finanzieri, banchieri e grandi burocrati si riuniscono (ormai alla luce del sole) non per cospirare in segreto, ma per aggiornarsi al fine di sempre meglio tutelare i propri interessi e difendere i propri privilegi. Oggi i cosiddetti Forum e i Think Tank internazionali hanno scalzato i vecchi summit diplomatici. Il concetto di democrazia è stato completamente svuotato di senso: oggi la democrazia esiste solo quando la massa avalla le scelte delle élites, altrimenti è “dittatura” e/o “populismo”. Guardate cos’è recentemente successo in Francia: l’elettore transalpino è stato cloroformizzato nell’urna e, malamente riavutosi dal mancamento, ha eletto Macron, un homunculus prodotto in vitro dalle élites capitaliste, dai banchieri Rothschild e Soros… Ora per le strade francesi imperversano le Giubbe Gialle inferocite, assetate di vendetta (che Dio le benedica!) Noi dobbiamo sempre sostenere i movimenti di rivolta, ovunque e comunque, soprattutto quelli di formazione – per dirlo con la sintassi gramsciana – nazional-popolare. I popoli, le masse. Guardate cosa sta accadendo nel mondo. Ovunque sfruttamento, sopraffazione, diseguaglianza e infelicità. Smart Working, flessibilità, dumping salariale. Macelleria sociale. È ancora e sempre la neolingua, che mediante gli eufemismi del politicamente corretto, quando non il vero e proprio capovolgimento dei significati, stravolge la realtà del più forte che sopraffà il più debole. Ricordate 1984? La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza, stava inciso sulla facciata del Ministero della Verità. E così, mentre le file dei super ricchi s’assottigliano sempre più e i pochi rimasti diventano sempre più ricchi, le file dei disperati, ridotti alla fame, sradicati e precarizzati, s’ingrossano sempre più, inglobando interi strati di popolazione precedentemente ritenuti benestanti. E i migranti? Questo “fenomeno” che in Italia, miserabile e sguaiato avamposto balneare della ricca Europa, tiene banco sui giornaletti nazionali e sulle bocche di tutti? Ma davvero qualcuno si stupisce ancora del cosiddetto “fenomeno dei migranti”? Ma coloro che ancor’oggi, ostinatamente, tentano di darne un’interpretazione diversa da quella economica, possono essere considerati in buona fede? Davvero qualcuno crede ancora alla favoletta dell’emigrante della speranza, che fugge da guerre e violazioni dei diritti umani in cerca d’un futuro migliore in lidi più accoglienti? Secondo le stime, oggi quasi il 90 % della ricchezza è saldamente nelle mani di non molto più del 10 % della popolazione mondiale. Il capitale pertanto necessita di sempre nuove e più numerose masse di lavoratori disposti a fare il medesimo lavoro a un prezzo sempre più basso. E quest’obiettivo si raggiunge in due modi: delocalizzando la produzione in paesi nei quali il costo del lavoro è più basso o molto più basso, oppure deportando dai paesi poveri masse di schiavi da sfruttare come asini da soma, fingendo di volerli integrare, trasformando gli autoctoni in meticci che sopravvivono in un presente senza passato e futuro. Questo modello è solo un prototipo, un laboratorio d’indagine. Il punto d’arrivo è, quando finirà la sperimentazione, quello dell’apolide sradicato. E non illudiamoci che tale sciagura riguardi solo i “paesi poveri”. Riguarda anche noi. Anzi, soprattutto noi. I nostri giovani precari, talvolta costretti a sbarcare il lunario facendo i camerieri o i lavapiatti a Londra o New York, già lo sono diventati, degli apolidi sradicati.

E la cultura? Può la cultura tollerare tutto ciò? È ancora in grado oggi, la cultura, di ribaltare questa situazione ed ergersi, come dovrebbe, a guida dei popoli? Nella nostra società, gli uomini di cultura non contano più niente, non sono più loro, come in passato, a influenzare le scelte e i gusti della popolazione. Oggi, ha scritto qualcuno, un commento sarcastico, una battuta, una flatulenza di un “blogger” o “influencer” può screditare in un secondo la Divina Commedia. Oggi, sono i protagonisti dello showbiz, cantanti, veline, tronisti, conduttori televisivi, calciatori, saltimbanchi, nani e ballerine la nuova classe dirigente, nel senso che dirigono i gusti e gli isterismi di masse lobotomizzate e volgari. Sono loro che influenzano le scelte, le mode e gli stili di vita del popolino, che dirimono le questioni sociali e financo etiche, che assurgono a oracoli della morale. Hanno la stessa se non maggiore autorevolezza della classe politica, una classe politica parimenti composta da persone prive di cultura, che della cultura non sentono l’utilità e che addirittura la percepiscono come nemica: «Quando sento la parola cultura, metto subito mano alla rivoltella!» soleva affermare Joseph Goebbels, non certo un campione di democrazia. Un tempo l’ignoranza era una vergogna, oggi è divenuta un vanto. Nel passato avveniva il contrario: nella Grecia classica erano i filosofi, Platone e Aristotele, con le loro scuole, a fornire i canoni politici ed etici ai governanti. Nel Medioevo questa funzione venne assunta dai Padri della Chiesa, quindi dal pensiero Scolastico, raffinata architettura dell’intelletto umano in cui Ragione e Fede convivono in pace, in epoca più recente dall’Illuminismo. Ciò è sopravvissuto sino al dopoguerra, verso la metà del Novecento, allorquando, la più grande e funesta invenzione della storia dell’umanità, la televisione, ha sovvertito codesti canoni. E ora abbiamo internet, Facebook o Instagram che riducono l’intelletto in cenere.

E, dulcis in fundo, il problema dei problemi, la crisi di tutte le crisi: la distruzione, progressiva e inesorabile, dell’ambiente, della Natura. Sempre in nome della modernità, dello sviluppo, del consumismo, del materialismo. L’uomo, una volta un cacciatore in armonia con l’ambiente, oggi, in un periodo geologico definito “Antropocene”, viene descritto dai sociologi con un ributtante neologismo: “consumatore”. Al semplice sentirsi definire così, una persona raziocinante – lògon èkon – dovrebbe davvero metter mano alla pistola, sterminando quei miseri bipedi della sua specie ingordi e rapaci, obnubilati dal loro narcisistico delirio d’onnipotenza. Folli che, accecati da funesta hybris, sostengono il predominio di una tecnologia e di un’economia malate terminali, autoproclamandosi “dominatori del pianeta”, in un vortice di cieca e tracotante megalomania, come se non esistesse domani, percorrendo a tappe forzate la via d’uno sviluppo (demografico ed economico) assurdo, esponenziale e insostenibile, di fatto, distruggendo il mondo, ormai ridotto a fogna a cielo aperto, divorando e sperperando tutte le (preziose e limitate) risorse naturali, sconvolgendo il clima e le stagioni, disboscando foreste, prosciugando fiumi, laghi e oceani.

Costoro però sanno che l’ora del riscatto delle masse s’avvicina a grandi passi! Sanno che le loro malefatte non resteranno impunite ancora a lungo! Sanno d’avere le ore contate! Sanno bene che gli umiliati e gli offesi della Terra sono numerosi come i pesci del mare! Sanno bene che schiere di miliardi di persone, che si stanno accalcando alle porte delle loro presidiate ma non inespugnabili fortezze, li verranno a cercare e non certo per stringergli la mano! Sanno che, quando queste masse si muoveranno all’unisono – guidate da nostro nonno, nostro papà e il nostro buon zio – come un sol corpo, spinte dalla disperazione, dalla fame e dalla sete di vendetta, saranno inarrestabili e travolgeranno ogni ostacolo sul loro cammino! E allora il loro denaro, i loro sgherri armati fini ai denti, le loro bombe, le loro bugie che diffondono attraverso i media non li aiuteranno a sopravvivere allo tsunami che li investirà. Saranno spazzati via. Perché il nostro esercito è destinato a ingrossarsi, il loro invece ad assottigliarsi. Per questo, oggi più che mai, noi vi esortiamo a gridare “Viva la Resistenza!”, “Viva la Rivoluzione!” e “W i Milan!”. Perché è sempre tempo di rivoluzione e più che mai di resistenza! Oggi più di ieri. Siamo chiamati a decidere se vorremo essere uomini liberi o schiavi alla catena! “Odio gli indifferenti” ammoniva Gramsci e Dante considerava gli ignavi neppure degni di esser accettati all’Inferno. Rivoluzione e resistenza contro i padroni della finanza mondiale, le élites oligarchiche, gli sfruttatori, i paladini della doppia morale, che predicano bene e razzolano malissimo, quelli che Sartre, nel suo più bel romanzo, La nausea, inchiodò con una geniale quanto icastica definizione: sporcaccioni! Questa è una guerra che andrà combattuta fino in fondo: vincere o morire, come le legioni di Mario contro i Cimbri, nella leggendaria battaglia dei Campi Raudi, nella quale una sconfitta avrebbe significato l’annientamento di Roma! Ogni compromesso, ogni tentennamento, ogni pusillanimità conviene lasciar da parte.

Il vento può ancora cambiare. La rotta può ancora essere invertita. La guerra è soltanto all’inizio. Ma se prima eravamo soli nel combatterla, se prima le nostre parole si perdevano nel vento, ora siamo qualcuno in più ad aver capito che – come cantava De Andrè “bisogna farne di strada da una ginnastica d’obbedienza fino ad un gesto molto più umano, che ti dia il senso della violenza; però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni”.

Questo modello di vita che ci viene imposto dall’alto, che è riuscito nell’incredibile impresa di far star male anche chi dovrebbe star bene (nei paesi ricchi, oggi, quasi metà della popolazione assume psicofarmaci o si reca da psicologi e psicoanalisti), creando disuguaglianze, sofferenze, depressioni e psicosi, è un modello fallimentare. Negarlo è sintomo di ignoranza o opportunismo. Questa realtà è sotto gli occhi di tutti. Basta voler vedere. Fingere di vivere nel migliore dei mondi possibili, come il Candide di Voltaire, significa ficcare la testa sotto la sabbia come gli struzzi. E allora dobbiamo continuare la lotta. Sempre. Il potere lo si deve tenere d’occhio, lo si deve mettere in dubbio, lo si deve sbeffeggiare quando necessario e non lo si deve temere. Riportare il lògos al centro del pensiero e dell’esperienza dell’uomo, la ragion critica che è la vera caratteristica che ci distingue dagli animali. Perché il pensiero critico è la più grande eredità che gli antichi Greci ci hanno lasciato. E dove c’è pensiero critico, c’è dubbio, c’è ragionamento; e il dogma, la verità rivelata cedono il passo alla ragione e alla ricerca. Perché nel pensiero risiede tutta la dignità dell’uomo. Questo è il più profondo insegnamento dei nostri Maestri. Prendiamo Eraclito (VI secolo a.C.), soprannominato o Skoteinòs, il Tenebroso, per lo stile oscuro e oracolare dei suoi detti.

In Eraclito troviamo:

  • Il tema della ricerca, da parte dell’uomo e, nel contempo, la sua vanità;
  • Il principio regolatore dell’esistente, come flusso inesauribile d’energia;
  • Il divenire, come manifestazione e continua trasformazione di questa energia;
  • L’unità di questa energia, come perenne tensione fra opposti che mai si conciliano, rendendo possibile il mondo (“Pòlemos di tutte le cose è re”);
  • L’armonia come tensione e la vita come conflitto;
  • L’origine del cosmo da una deflagrazione d’energia, destinata a ritornare eternamente su sé stessa (l’Eterno Ritorno dell’Eguale di Nietzsche, il Big Bang o, per chi crede, il Principio primo creatore dell’universo);
  • Il pessimismo radicale, nella consapevolezza che la ricerca umana non hai mai fine e si rivela vana perché, raggiunto un fondo, si apre immediatamente un sottofondo, e così via, con la legge ultima che sempre ci sfugge (“Per quanto tu possa camminare, e neppure percorrendo intera la via, tu potresti mai trovare i confini dell’anima: tanto profondo è il suo lògos”).   

Come si evince chiaramente, in Eraclito c’era già tutto l’essenziale: dopo è stata fatta soltanto una gran confusione. Del resto, il peccato originale della nostra cultura – la cultura occidentale – è stato questo duplice allontanamento: dalle nostre radici greche e dalla Natura. Ma è tempo d’invertire la rotta. Bisogna riportare l’uomo al centro dell’universo e della storia, sciogliendolo dalle catene che lo tengono avvinto alla sua moderna servitù: capitalismo, economizzazione dell’intera vicenda umana (mercificazione di uomini, diritti e ideali), tecnocrazia dilagante. Ricondurre la cultura e l’elevazione spirituale al loro ruolo di guida dei popoli, verso quell’ideale governo dei filosofi esaltato da Platone nella Repubblica. Del resto, qual è il compito primario della filosofia? Insegnare a pensare con la propria testa, evitando pregiudizi, luoghi comuni e verità universalmente imposte e accettate (il “si dice” di Heidegger). Fare ciò non è semplice, ma è essenziale, in questi tempi di “sonno della ragione”, governati ed eterodiretti dal pensiero unico che tutto omologa e tutto compra e vende. 

Un nuovo Umanesimo. Sì, proprio questo: UMANESIMO.

E anche un nuovo Comunitarismo, inteso come una società solidale, equa e “socialista”, nel senso che sottoscriva un nuovo contratto sociale inter pares, uomini liberi fra loro solidali, con pari diritti e pari doveri. Recuperando gli antichi valori, quelli prestorici, prereligiosi, presociali: l’etica, l’onore, il coraggio, la solidarietà verso i deboli; in estrema sintesi, la dignità della persona. Un modello da contrapporre all’individualismo consumista e materialista di oggi e al suo vuoto valoriale, teso unicamente al profitto di pochi e speculare allo sfruttamento di molti e al consumo acritico e indiscriminato. Perché, come scrive un altro grande Maestro, lo Stagirita, nell’Etica a Nicomaco: “Non si deve, essendo uomini, limitarsi a pensare cose umane né essendo mortali pensare solo a cose mortali, come dicono i consigli tradiziona

i pirati dei milan